8.2 Il profumo della verità

Non passavo molto tempo a casa, da Terry, ma un weekend di fine agosto uscii da San Cataldo quando ancora il sole era caldo. Il lavoro sembrava bloccato, come se i dinosauri non mi parlassero più, ed era il momento di staccare per un poco. Il mio vecchio topo mi portò in centro, a prendere Terry. Lei stava facendo il ritratto ad un tipo così brutto, ma così brutto, che veramente apprezzai il suo coraggio nel fargli un ritratto somigliante.

Quando ebbe finito con il cliente brutto, mise via le matite e mi guardò con fare interrogativo. Io le feci un cenno di complicità, e filammo via. Dalla finestra della nostra mansarda, la serata appariva bellissima; il sole tramontando lasciava una scia di fuoco sulla palude, scintillando tra le canne. Noi sembravamo una coppia perfetta; forse lo eravamo. Eppure io volevo parlarle; lei lo capiva, e cercava tutti i pretesti per non darmi il tempo e la calma necessari. Finché io mi decisi:

- Devo parlarti di una cosa.

- Devi?

Ma io ignorai il messaggio anche troppo chiaro. Il rimorso ancora mi accompagna: non so se potrò mai perdonarmi di averle detto la verità. E poi le parole che usai: ``mi sono preso una sbandata''; ``ma in realtà non è successo niente''; una bella ipocrisia, per un cibernauta esperto. Io che sono un grande traduttore di sentimenti altrui, magari di esseri alieni come i dinosauri, all'improvviso mi sentivo inadeguato ad esprimere i sentimenti miei. Rimasi con la sensazione che sarei stato più gentile con lei se le avessi detto una bugia; ma quale? È difficile dire una bugia ben congenata quando non si capisce bene quale è la verità; e se qualcuno, a quell'epoca, mi avesse chiesto se avevo una relazione con la Giusti, io non avrei saputo proprio cosa rispondere. La serata finì malissimo, con lei che mi teneva il broncio, ma senza darmi la soddisfazione di farmi una scenata di gelosia.

Da quella notte, e per diverse settimane, non è che io non volessi stare a casa, ma di fatto non avevo fretta di tornarci la sera; stavo sempre fino a tardi la notte nel mio laboratorio, attaccato al calcolatore. Quelli che lavoravano con me erano sempre più sopraffatti dalla mia pretesa di continuare il lavoro ad ore impossibili. Una notte ero rimasto solo con Anna, finché anche lei cedette.

- Ora me ne vado a casa - mi dice.

- A casa a fare che cosa?

- A dormire! Un'attività di cui tu hai perso l'abitudine, ma noi comuni mortali ne abbiamo ancora bisogno.

- Che roba, speravo che mi dicessi che avevi qualcosa di meglio da fare, nel tuo letto.

- Ma se Fabrizio è ancora al lavoro, come te! Nel mio letto ci vado solo a dormire.

- È per questo che accetti di passare le serate con me nel ciberspazio, non è vero?

- Non sai che io sono una grande arrivista, lo faccio per fare carriera... no, scusa, sto scherzando. Io non penso che tu sia un arrivista, solo perché lavori la notte.

- Allora che cosa sono?

Anna mi baciò sulla fronte, e se ne andò senza rispondermi.

Io non avevo voglia di andare a letto; e sì che io ce l'avevo qualcuno nel mio letto che mi aspettava, malgrado... Ma a quell'epoca soffrivo di una forma di inquietudine, di melanconia che mi prendeva soprattutto la sera, e l'idea di rimandare a domani quello che stavo facendo, di dormire, mi riusciva insopportabile. A quel punto però ero troppo stanco per risolvere il complicato problema di sintassi odorosa (una disciplina che io stesso avevo inventato) sul quale mi ero arenato. Perciò mi distesi di nuovo sul lettino del laboratorio VR.

Quando la luce si riaccende, ma non attraverso i miei occhi, accedo subito il menù di Metropolis; è venerdì, ci sarà certamente folla, e scelgo subito un quartiere malfamatissimo: ``AltFreeSpeech''. Quando l'ufficio amministrativo riceverà il mio conto di connessioni per questa settimana, forse avrò dei guai, se qualcuno dei burocrati nota dove sono stato... ma ormai mi sento tanto importante da potermi permettere anche uno scontro con l'amministrazione, se sono loro che lo cercano tanto peggio per loro.

Per le strade del più famoso quartiere dei ciberanarchici c'è una gran folla, in cui si mescolano i ricchi con la loro persona, come me, ai ciberpoveri con i loro personaggi stilizzati rozzamente. Non ci sono aggressioni, questa è una zona franca in cui non sono permessi i giochi di cappa e spada. Incontro migliaia di personaggi, ma tutti sono degli estranei. Venirci in compagnia è un'altra cosa, specialmente in compagnia di... no, questa sera non voglio pensare a lei. Però sono tanto solo. Che cosa fanno quelli che si sentono soli? Ci sono centinaia di insegne ai lati della via, che lampeggiano i loro richiami per chi si sente solo: ``Compagnia'', ``Contro la solitudine''. Si direbbe che la compagnia sia la merce più rara e più richiesta sul mercato di Metropolis. Scelgo una di queste insegne, anche se ho poca speranza che sia quello che cerco.

Nel sito ``AltMeetings'' c'è una lobby con un banco, a cui si affollano i personaggi. Un cartello avverte i clienti dotati di persona che per ragioni di velocità di risposta alcune delle loro immagini saranno riprodotte con risoluzione ridotta; questo è un sito populista, i privilegiati come me devono abbassarsi al livello degli altri. Al banco mi porgono una tastiera su cui devo battere le mie richieste, tipo `uomo, donna, incerto', `giovane, vecchio, non importa', e poi un numero a caso: questi dati servono al calcolatore a combinare un incontro casuale con qualcuno, o qualcuna, che si sente sola come me a Metropolis, cioè in un altro angolo del mondo.

Come optional, mi offrono di spedirmi per posta una bustina contenente gli odori appropriati, che io devo far annusare al mio soma al momento giusto; mi assicurano che gli odori sono molto eccitanti. La sola idea di chiedere al mio serissimo medico di guardia di fare annusare la bustina al mio soma quando comincia ad ansimare mi fa ridere, e poi non mi fa ridere più. Forse è proprio questo eccesso, questo rifiuto totale dell'immaginazione che mi disgusta. Ma io che cosa ci faccio qui? In fondo, io ho qualcuno che posso annusare davvero. Mi viene nostalgia dell'odore di Terry; forse Metropolis è soltanto per chi è solo davvero.

Ma cosa altro offre AltFreeSpeech? Ritorno sulla strada principale, nella folla, e incontro un personaggio strano, o forse normale, voglio dire che è uno dei pochi che non sono seminudi e non indossano una corazza di scaglie di zaffiro. Ha una giacca di tweed un po' sdrucita, l'aria assorta, e dei libri in mano.

- E tu chi sei? voglio dire, che cosa rappresenta il tuo costume? Qui tutti sono travestiti - gli chiedo; forse in una strada vera non avrei avuto il coraggio di abbordare uno sconosciuto in questo modo.

- Io sono travestito da poeta.

- E in cosa consiste il travestimento da poeta?

- Sciocco, cosa credi, che il poeta debba avere un vestito speciale?

- E allora come so che sei un poeta?

- Dimmi quale poesia vorresti sentire.

- E tu mi comporrai una poesia per l'occasione?

- Un vero poeta non dovrebbe essere così presuntuoso. Ti citerò la poesia che ti serve.

- Perché, la poesia serve? Capisco, serve a consolare le anime tormentate. Allora dimmi una poesia per chi ha visto svanire la sua amata, come se non fosse mai stata reale.

Il poeta da strada consulta il suo libro, che nasconde un terminale virtuale collegato ad un motore di ricerca letterario di una grande biblioteca, e prontamente mi recita:

Il suo dolce Peso sul mio Cuore una Notte Si era appena degnato di giacere - Quando, scuotendosi, per meravigliare la mia Fede, La mia Sposa era scivolata via - Era un Sogno - reso solido - solo per confermare il Paradiso...

È riuscito veramente a scuotermi; quando ha finito di recitare la poesia, mi passa la referenza per consentirmi di ritrovare la citazione: Emily Dickinson, poem 518. Vale proprio la pena di sfruttare un simile consulente.

- Visto che con le tue poesie riesci a spiegare tutto, prova a risolvermi questo problema. Come è possibile che una grande e potente civiltà si lasci distruggere, anzi si distrugga da sola?

- Ti sbagli, non è compito dei poeti spiegare. Però conosco un poema sull'argomento che ti interessa: Ozymandias, di Percy Bysse Shelley:

Un viaggiatore da una terra antica mi disse: nel deserto immense gambe di pietra senza corpo stanno... accanto, nella sabbia, un viso spaccato il cui cipiglio, la piega delle labbra, il ghigno di freddo comando dicono che ha ben letto le passioni lo scultore delle forme inanimate: sopravvivono la mano, che le ha copiate, ed il cuore, che le ha sentite. Sul piedestallo stan queste parole: ``Il mio nome è Ozymandias, re dei re: la mia opera guarda, o potente, e dispera'' Accanto non resta niente. Attorno alla rovina di queste macerie colossali, sconfinata e nuda la sabbia solitaria si estende lontano.

- Accanto non resta niente... mi ricorda qualcosa. Ad ogni modo capisco, è proprio quando ci si sente ricchi, quasi onnipotenti che si rischia la distruzione. Forse non risolve il mio problema, però... ci penserò. Ma comunque grazie, devo riconoscere che il tuo travestimento da poeta è perfetto.

Quando tornai a casa quella notte, annusai a lungo Terry senza svegliarla. I capelli avevano un odore oleoso, il collo e le braccia mi facevano venire in mente una qualche essenza vegetale a cui non sapevo dare un nome, il sesso faceva un odore più pungente. La annusai nell'incavo del braccio, dove si sente meglio l'odore del corpo, non soffocato da quello più forte del sudore: sapeva di mare, come sempre. Gli odori erano eccitanti, proprio come dicevano a Metropolis, ma non la svegliai per fare all'amore. Terry disse una volta che io non appartenevo soltanto al mondo reale; ma neppure soltanto al ciberspazio. Dovevo trovare il modo di vivere in questo mondo, anziché continuare a desiderare soltanto quello virtuale. Terry si agitò nei suoi sogni: lei non aveva bisogno del ciberspazio per sognare. E io? Avevo bisogno dell'illusione consensuale del ciberspazio per fare un sogno? La abbracciai forte, e presto riuscii ad addormentarmi.

La mattina dopo, mentre aprivo la mia posta elettronica, stavo ancora pensando agli odori, quelli emanati dai corpi umani e quelli artificiali, che tutte le donne a Pisa portavano per coprire la puzza della palude; salvo Terry che si metteva un profumo molto leggero, lei sembrava non averne bisogno. Ero distratto, ma dovetti fare attenzione per forza: uno dei messaggi veniva dal Ministero della Ricerca Australiano. Io avevo mandato un curriculum, una domanda di assunzione, ma non ci credevo troppo; avevo fatto la traduzione che mi avevano chiesto, ma solo perché l'avevo considerata una sfida. E invece mi offrivano davvero il lavoro di direttore del nuovo centro di ricerca di Waukarly-carly, e dovevo rispondere a breve scadenza se accettavo o no!

La mia mente vagava, si rifiutava di concentrarsi sulla scelta da fare; mi ricordo che cercai di immaginarmi l'odore del deserto australiano, del lago salato, dei suoi effimeri fiori. Mi immaginavo che l'odore del deserto fosse più puro, come il profumo della verità. Una strana idea, ma c'era qualcosa di vero, ora lo so. La verità però dovevo dirla alla Giusti, a Terry, ma prima a me stesso. Che cosa era più importante per me? Avevo voglia di partire, dare un taglio netto al passato? Oppure di portare qualcosa con me? Non mi sentivo pronto a decidere, volevo prima risolvere i problemi principali dell'interpretazione del CD fossile, soprattutto quello dell'odio tra dinosauri. E poi Laura, la Giusti, voleva che io partissi? Ma in fondo toccava a me decidere. Forse il modo giusto di prendere una decisione difficile era di non pensarci.

Andrea Milani 2011-10-11