5.3 Il girone dei traditori

Quando tornai nel corridoio dei nostri uffici era già tardi, tutti erano andati a casa, perfino la Giusti. Presi la barca e mi avviai verso la città, però non avevo voglia di andare subito a casa da Terry: mi erano successe troppe cose di cui non volevo parlare con lei; mi fermai un poco in città.

I giovani a Pisa di solito si ritrovavano la sera con le loro barche al Ponte di Mezzo, che un tempo congiungeva le due rive del fiume Arno proprio al centro della città; ora era la città che stava in mezzo al fiume, e la testa di una statua emergente dalle acque costituiva l'attracco più comodo. Si saltava di barca in barca per andare a sentire chi suonava la chitarra o cantava canzoni Down Under, di rock australiano.

Io non avevo difficoltà a mescolarmi ai giovani locali, finché stavo zitto. Ma se cominciavo a parlare, subito ero diverso dalla gioventù sfaccendata locale. Io lavoravo in una torre d'avorio... non sembrava una torre d'avorio, con la puzza di palude che ti seguiva nei laboratori a più alta tecnologia, ma lo era. Come potevo spiegare ai miei coetanei quello che facevo, quello che mi preoccupava? L'idea di mettersi nei guai con una donna che non avevo mai toccato, anzi che non potevo toccare perché non esisteva nel mondo reale, oppure se esisteva non voleva compromettersi con me, come avrei potuto spiegarla? Per quei ragazzi le preoccupazioni erano assai più concrete, il lavoro che mancava, la casa che si scioglieva sempre più, la ragazza che si faceva toccare eccome, ma voleva che qualcuno la portasse via di casa e dal fiume che sporcava di melma ogni speranza.

Perciò io non parlavo affatto, mi limitai a cantare quando fu il mio turno, una vecchia canzone che il mio nonno mi cantava quando ero piccolo, Born in the USA. Sembrava che fosse ancora alla moda, o almeno accettabile.

Insomma alla fine andai a casa, cioè alla mansarda di Terry, che mi aspettava come sempre. Lei stava nel laboratorio di ceramica, e impastava con le mani una statua le cui forme per il momento solo lei sapeva interpretare.

- Che hai fatto di bello? - mi chiese, come temevo.

- Tante cose - risposi, ma ero imbarazzato - Per esempio, ho capito quello che stavano facendo i dinosauri con i topolini; stavano cercando di accrescerne l'intelligenza.

- Ah sì?

Lei era moderatamente interessata a cose del genere, era diffidente. Lei capiva che non era quella la cosa principale che mi era successa. Io ero sempre convinto, almeno a quell'epoca, di essere una persona molto dedita al lavoro, molto determinata ad avere successo; del resto stavo avendo successo. Eppure, i miei successi scientifici non erano veramente le cose più importanti che mi accadevano, e questo non ero tanto bravo a nasconderlo. Prima o poi, le avrei dovuto dire la verità, su di me e sulla Giusti. Peccato che non sapevo neanche io quale fosse la verità.


La mattina dopo la Giusti mi aspettava, a rapporto, come si diceva tra di noi, i suoi schiavi, chiedo scusa, voglio dire i suoi dottorandi. E poi nessuno era suo schiavo come me... almeno spero.

- Allora, Nieri, hai conosciuto questo astronauta con cui andrai a visitare il satellite dei dinosauri?

- Sì, professoressa, sono stato dentro di lei, voglio dire, in collegamento omnisensoriale con lei.

- Lei?

- Sì, è una donna, si chiama Dominique Harrison, viene dal Quebec, ed è un comandante delle Forze Spaziali Nord Americane. Ha fatto quaranta voli nello spazio, contando solo quelli reali, e molti di più con quelli virtuali.

- Va bene, sarà certamente molto esperta - ma l'idea che fosse una donna non le piaceva. Sarei stato molto contento se avessi potuto trarne delle conclusioni... che fosse gelosa? No, non c'era da sperare niente del genere, eppure...

- Tra poco sarà l'ora di ristabilire il collegamento; devo essere in lei... con lei al momento del rendez-vous con il satellite nero - ora era il momento di osare - lei è sicura di non voler venire con me?

- Non mi sembra assolutamente il caso. Sei perfettamente in grado di cavartela da solo.

- Non è questo che mi preoccupa. È che vorrei andarci con lei.

- Non ricominciare con una discussione sciocca. Non è il caso che ci venga con te, e basta.

Non mi restava che obbedire, ma cercai ancora di mercanteggiare.

- Domani verrà con me al sito del CD? C'è un capitolo che non abbiamo ancora studiato e di cui vorrei discutere.

- Vedremo. Ora vai, occupati di questo satellite dei dinosauri.

Avevo l'impressione di avere veramente il capo chino quando dissi:

- Va bene, vado.

Appena sono nel ciberspazio, mi trovo dentro Dominique. Non si dovrebbe dire ``dentro'', si dice ``in collegamento omnisensoriale con''. A me pare di essere nascosto da qualche parte nel suo cervello a spiarla, e non spio solo quello che lei vede o sente con le orecchie, ma anche quello che lei sente con il tatto, con tutta la pelle. È una sensazione di intimità come non si può avere con nessuno, neanche a letto nudi... ma devo scusarmi per aver anche solo pensato questo paragone, naturalmente Dominique non verrebbe certo a letto con me, sta solo facendo il suo lavoro con grande professionalità.

- Ciao - le dico - come va, siamo vicini?

- Ciao - mi risponde - manca poco. Puoi vedere il bersaglio sullo schermo principale.

Il satellite nero è veramente nero, si vede come un'ombra che copre le stelle. Soltanto da breve distanza si riesce a distinguere la sua sagoma, che è allo stesso tempo familiare ed aliena: una strana composizione di figure geometriche regolari ma montate in un modo diverso da quello che sarebbe scelto da progettisti umani.

- Da che parte si entra? - chiedo.

- Se era qualcosa di simile alle nostre stazioni spaziali, dovrebbe avere un modulo di attracco. Ma non sapendo come erano fatte le loro astronavi, non è facile capire come dovrebbe essere fatto un sistema di attracco, o anche solo un portello. Se erano della dimensione di un Tyrannosaurus Rex, i portelli dovrebbero essere enormi.

- Guarda che non erano affatto così grandi; le nostre stime delle dimensioni del Waukarlysaurus sono tra i 140 ed i 160 centimetri di altezza, e tra i 60 e gli 80 chili di peso.

- E allora proviamo a cercare un portello, sfruttando l'informazione che doveva essere un po' meno di due metri in altezza. Tu sei il navigatore, usa un motore di ricerca geometrico.

- Agli ordini, mio comandante... ecco, ora ho creato un'immagine con un codice di colore che indica le strutture della dimensione giusta, e di forma grosso modo rettangolare. Come faccio a fartele vedere?

- Usa la macro di trasmissione per sovrapposizione, ed io vedrò l'immagine reale formatasi nella mia pupilla con sovrapposti i colori assegnati dalla tua elaborazione di immagine. Così... un po' più luminoso, per favore... più verde... va bene. Ecco, quello potrebbe essere un portello. Ora stacca il motore di ricerca geometrico, ed usa un motore di ricerca di ingegnerizzazione inversa, in modo da produrre un modello dei meccanismi che stanno attorno al presunto portello.

- Come si fa? Non sono pratico di questo tipo di ricerca - Dominique è seccata della mia scarsa esperienza come analista di immagini, ma dopo tutto io non sono il navigatore di un aereo da ricognizione.

- Ascoltami bene, ora ti spiego cosa devi fare...

Per più di mezz'ora lavoriamo intensamente ed in modo molto efficiente, almeno così sembra a me, finché il braccio robotico della nostra astronave riesce a spezzare i cardini che sorreggono il portello. Soltanto adesso ho il tempo di avere paura, ma in fondo di cosa? Questa stazione spaziale è deserta da milioni di anni, non c'è nessuna vibrazione, nessun macchinario in funzione.

Non sembra necessario accertare che non c'è vita qui dentro: sembra un girone dell'inferno, quello in cui sono surgelati per sempre i traditori. Neppure l'immaginazione di Dante Alighieri era sufficiente a immaginare un inferno che dura milioni di anni, anche se in teoria le pene dell'inferno durano per l'eternità, secondo la teologia medievale. Mi viene in mente l'affresco del Giudizio Universale che sta sott'acqua nella Piazza dei Miracoli, e che ho visitato appena arrivato qui, il giorno in cui ho conosciuto Terry; in quel dipinto alcuni dei dannati non hanno il vigore dei personaggi di Dante, sembrano esauriti, svuotati dalle pene dell'inferno. Chissà se ci sono dei traditori dei dinosauri in questo girone.

- Va bene - dice la mia intrepida pilota - entriamo.

- Sei sicura che non ci sia pericolo?

- Hai appena detto che in fondo i dinosauri intelligenti erano più piccoli di me...

- Bada che non ho detto che erano più deboli di te, avevano dei bei muscoli ed uno scheletro molto robusto. Comunque scusami, ora mi sto comportando da pauroso, naturalmente non può esserci niente di vivo.

- Secondo me non ci sono neppure macchinari in funzione, neppure un minuscolo circuito in cui passi ancora della corrente: i sensori non rivelano neanche la più piccola attività elettromagnetica. Ecco, ora mi metto il casco... devi regolare la luminosità come va bene a te, non è detto che la regolazione che uso io ti vada bene, io sono abituata al pilotaggio notturno.

In effetti, appena Dominique entra nello stretto budello a cui si accede dal portello, io non vedo più nulla. Solo dopo aver armeggiato un po' con i controlli riesco a regolare la luminosità e la mappa di colore in modo da poter distinguere i contorni del corridoio in cui lei si muove, spingendosi con le mani sulle pareti. Nel corridoio ci sono diverse porte, tutte aperte. Nella prima stanza sulla destra ci sono dei mobili che, con un po' di fantasia, possono essere interpretati come una scrivania ed un armadio.

- Un alloggio? - chiedo - E il letto dove è?

- Eccolo - la mano guantata va a toccare una rete, sottile come una ragnatela, che è appesa attraverso la stanza; ma al primo tocco, i fili sottili vanno in polvere, che resta sospesa - gli astronauti dei dinosauri usavano delle amache per dormire in assenza di peso, esattamente come facciamo noi. Ci sono alcuni oggetti che hanno una forma obbligata, non c'è verso di progettarli in un altro modo, per quanto aliena sia la tecnologia.

- I dinosauri non sono alieni, piuttosto antenati; il loro pianeta era la Terra. Forse una tecnologia veramente aliena non sapremmo capirla.

- Perché dici antenati? Sono antenati dei polli, non nostri.

- E allora perché i polli sono così stupidi?

Dominique è un'astronauta troppo ben addestrata per attardarsi a pensare a domande a cui non ha i mezzi per rispondere. Perciò la nostra esplorazione prosegue in silenzio, fino a che troviamo quella che potrebbe essere la cabina di comando (o pilotaggio, o controllo...). E lì, in un ambiente molto ben schermato dagli urti di particelle e micrometeoriti, ci sono ancora delle scritte non completamente annerite.

- Lo sai leggere? Lo capisci? - perfino Dominique è emozionata dalla scoperta, tanto che la voce le trema un poco.

- Calma, sto trascrivendo. Per ora ho capito solo la scritta accanto alle leve più grandi: dice "ON/OFF". Non è una grande scoperta, ma è un buon inizio.

- Ma che cosa veniva messo on/off?

- C'è una scritta più lunga, che se le regole dell'ergonomia dei dinosauri erano come le nostre, e in fondo avevano più o meno gli occhi e le mani, voglio dire le zampe anteriori, nella stessa posizione nostra, si riferisce all'azione delle leve. Vediamo... $\pi
\nu ah \xi \varepsilon $...

- I dinosauri parlavano in greco?

- No, e stato qualche cervellone dell'Università di Heidelberg che ha proposto di trascrivere i fonemi dei dinosauri usando una mistura di alfabeto greco e latino... non so proprio come mi sono fatto convincere; in fondo sono io che ho scoperto l'alfabeto fonetico dei dinosauri - questa ferma rivendicazione del mio primato scientifico è accolta da Dominique con un rispettoso silenzio, quello con cui si lascia lavorare chi è un vero professionista.

Soltanto dopo una decina di minuti comincio ad avere qualche idea che ha almeno qualche possibilità di essere giusta.

- Secondo il quasidizionario che mi sono fatto sulla base del CD, quella parola lì, in mezzo alla scritta sopra alle leve, vuol dire [chiusura; prigionia; sicurezza].

- Allora, queste sono le sicure che inibiscono l'attivazione di qualcosa di importante.

- E che cosa può essere così importante da richiedere una sicura manuale, che deve essere impugnata con forza?

- Qualcosa di critico per la riuscita della missione di questa stazione spaziale. I motori per cambiare l'orbita, il sistema di pressurizzazione, per esempio le camere stagne per entrare ed uscire, oppure...

Quello che mi piace di meno di quello che dice Dominique sono i puntini di sospensione in fondo alla frase. Qualcosa che non si può dire ad un estraneo allo SDAC?

- Finisci la frase - le ordino seccamente.

- Beh, non so, non si può mica pretendere di capire la logica dei dinosauri.

- Facciamo così, prova a ragionare come il colonnello Jones, che dice che ci sono alcune motivazioni fondamentali che dovrebbero essere comuni ad ogni civilizzazione.

- Il colonnello Jones, e quelli del suo tipo, pensano che le motivazioni fondamentali sono quelle della guerra...

- E quindi tu stai pensando che quella parola voglia proprio dire sicura, e quelle leve devono essere spinte in basso, dove c'è scritto $\rho u \psi$, OFF, per rendere possibile sparare, cioè lanciare dei missili, o attivare delle armi a raggio, o cosa diavolo avevano quelli.

Dominique non mi risponde, ma afferra uno strumento dalla sua cintura e comincia a orientarlo in tutte le direzioni.

- Stai controllando le radiazioni? - le chiedo.

- Sì, ma non sembra che ci sia nulla. Però se c'era una schermatura pesante, come è logico che ci fosse per proteggere l'equipaggio...

- Guardati un po' intorno, voglio vedere se ci sono dei segni che possono indicare qualcosa... ecco, fammi vedere meglio sulla parete a destra. C'è un portello stagno, con un simbolo sopra... ed il simbolo potrebbe essere... il simbolo delle radiazioni.

Ma Dominique non aspetta neppure che io finisca la frase, e afferra vigorosamente con la mano guantata la maniglia del portello. Dopo averla scossa più volte, riesce a smuoverla; la porta si schiude appena, e subito il contatore Geiger comincia a ticchettare. Noi - cioè Dominique - chiudiamo la porta in fretta, con affanno. Per un po' si sente solo il rumore del nostro respiro pesante; nostro, perché anche io ho l'affanno, anche se lo sforzo fisico lo ha fatto solo lei.

Restiamo tutti e due in silenzio per un po', finché il nostro silenzio ci pesa. Adesso quella stazione spaziale abbandonata mi sembra ancora di più un girone dell'inferno; forse i dinosauri stanno all'inferno perché hanno veramente dei peccati da espiare. Ma questo è un pensiero poco scientifico, vediamo di restare più calmi e obiettivi. Ricominciamo il lavoro di ordinaria amministrazione, dobbiamo riprendere bene con le telecamere incorporate nella tuta spaziale di Dominique tutto il quadro di comando della stazione spaziale, almeno quello che noi pensiamo sia il quadro di comando. Quando siamo convinti di aver finito riprendiamo la nostra esplorazione dei corridoi e delle stanze, ma non troviamo più niente di eccitante; la sola altra scritta che io riesco ad interpretare dice $\varepsilon \phi d \chi$, cioè "USCITA", e infatti sta sopra ad un portello che porta ad una camera stagna.

Quando mi ritrovai nel lettino del laboratorio VR ebbi la sorpresa di vedere la Giusti che stava accanto a me: mi stava aspettando, forse perché era impaziente di sapere della stazione spaziale dei dinosauri, oppure perché stava osservando il mio soma... per vedere cosa facevo? No, è ridicolo.

- Allora, cosa hai scoperto?

- Beh, Dominique ha forzato un portello esterno e poi ha esplorato tutto l'interno, almeno è entrata in tutte le porte che abbiamo visto. La maggior parte delle stanze non contenevano niente che ci consentisse di capirne la funzione, salvo una camera da letto in cui c'era ancora un'amaca. Invece una stanza era una specie di centro di comando, o una cabina di pilotaggio. Lì abbiamo visto delle scritte ancora leggibili.

- E cosa sei riuscito a leggere?

- Ho portato la trascrizione, per ora capisco il senso solo di due o tre parole, che sono abbastanza ovvie per un centro di comando: acceso, spento, sicura; inoltre credo di aver capito il senso di un cartello di avvertimento, che parlava di radiazioni.

- E tutto questo viaggio, con il lancio di un astronauta, solo per capire tre parole?

- Un momento, avrò capito solo tre parole, ma sono parole importanti. Evidentemente indicano il sistema di controllo della funzione principale della stazione spaziale dei dinosauri.

- Che sarebbe?

- Beh, Dominique pensa che possa essere il sistema di armamento.

- Dominique... la tua muscolosa astronauta... del suo giudizio ti fidi del tutto, ormai. Ma spesso il cervello non corrisponde, alla prestanza fisica.

Incredibile: non riusciva a nascondere l'astio verso la mia nuova amica. Intellettualmente, la Giusti non poteva essere preoccupata di una donna spaziale; che fosse veramente gelosa? Ma non era possibile; pensai di provocarla un po' per vedere...

- Dominique è molto competente in fatto di veicoli spaziali. E tutto sommato sono d'accordo con lei. A che cosa poteva servire una stazione spaziale, in un'orbita così alta, con uomini... voglio dire, dinosauri a bordo, se non per scopi militari? E poi, abbiamo trovato un locale in cui c'erano ancora delle intense radiazioni nucleari. Non abbiamo potuto esplorarlo perché Dominique non aveva una tuta anti-radiazioni, ma è probabile che contenesse i resti di armi nucleari.

La Giusti era molto seccata.

- Io penso che stai perdendo del tempo, sarebbe meglio se continuassi ad usare... le tecniche multimediali, in cui sei veramente esperto.

- Ma professoressa, su quella stazione non c'era n'è un suono n'è un'immagine, solo le scritte e le leve, il cartello sopra una porta; mettendole in relazione, ho fatto il lavoro più multimediale che era possibile, date le circostanze.

Lo sguardo della prof si ammorbidì un poco; in fondo, non aveva proprio ragione di trattarmi male.

- Hai ragione, hai ottenuto il massimo possibile, come fai sempre. Ma ora per favore, torna a lavorare allo pseudodizionario.

- Certo; però ho promesso a Dominique che le avrei fatto da navigatore per l'atterraggio, tra sette ore - visto che era di nuovo in buona volevo provare a provocarla fino in fondo. Ma lei si limitò ad andarsene senza dire una parola; corsi ad inseguirla nel suo studio.

Lei guardava fuori della finestra, come se non volesse ammettere che ero nel suo ufficio.

- Diciamo la verità, lei non mi considera solo come un allievo o un collega.

- Io ti voglio molto bene - quando diceva cose fuori dell'ordinario la sua voce era più sottile, la udivo a stento.

- Ma io ti amo - ecco, lo avevo detto, non solo a Laura, come avevo già fatto cento volte, ma alla Giusti, nella realtà, e perfino nel suo ufficio.

- Io voglio restare tua amica.

- Ma cosa diavolo vuol dire, amica?

- Amica... e basta.

Quella sera me ne andai perché temevo di mettermi a piangere. Ma forse non avrei pianto, solo non sapevo cosa dire.

Andrea Milani 2011-10-11