9. Passato e futuro

Il mio viaggio di ritorno a Calci fu assai diverso dal viaggio di andata. Non sul vecchio topo, ma sulla barca dell'Istituto, con il marinaio per guidarla nell'insidioso labirinto di canali delle paludi di Ghezzano e Campo. Con me era venuta Anna, ma anche Terry; le avevo detto che mi faceva piacere farle vedere dove avevo passato degli anni importanti della mia giovinezza.

In verità a me non piace voltarmi indietro; ho paura di non saper affrontare il rimorso per quello che avrei dovuto fare e non ho fatto. Così preferisco vivere nel presente, magari nei momenti senza tempo del ciberspazio, e non pentirmi mai di quello che ho fatto. Ma fare da guida a Terry mi piaceva; lei non guardava le cose soltanto con spirito turistico, lei voleva capire il mio passato. Ma il passato di cui io le parlavo era quello collettivo, la nostra storia, con i suoi momenti gloriosi e quelli oscuri.

La Certosa di Calci è vecchia di oltre 700 anni, ma non è più stata usata come convento dagli anni '70 del secolo scorso. Alla fine del secolo, come giustamente ricordava Anna, era stata trasformata in Museo; le collezioni di storia naturale dell'Università, che erano disperse in diversi edifici del centro storico di Pisa, erano state riunite e riordinate nell'antico monastero. Poco a poco tutti gli spazi erano stati occupati da vetrine con le collezioni di animali impagliati, scheletri, fossili e minerali che risalivano all'800, ma anche con moderne esibizioni multimediali. Infatti il Museo, nella sua nuova sede di Calci, era diventato modernissimo, uno dei primi ad esibire le sue collezioni con documenti multimediali su internet, la rete che aveva preceduto il ciberspazio.

Dal catalogo scoprimmo subito che la vetrina 37 era nella Galleria delle Balene, un antico deambulatorio dei frati chiuso con enormi vetrate e in cui erano esposti gli scheletri dei grandi cetacei. Anna aveva ragione: anche io ero stato a lezione proprio in quella sala; gli studenti dei corsi più numerosi dovevano sistemarsi delle sedie tra gli scheletri delle balene, e talvolta la lavagna si intravedeva tra le enormi costole di un mostro del mare.

Mentre attraversavamo il cortile, in cui ancora sopravviveva faticosamente il bellissimo prato, calpestato da troppi studenti, ci fermavamo per spiegare a Terry i monumenti che ricordavano le fasi più drammatiche della storia della Certosa di Calci: l'incendio del diciottesimo secolo, e la Grande Evacuazione. In mezzo al prato del cortile, vicino all'ingresso principale, c'era il gruppo monumentale con il Grande Rettore che guarda il modello della diga.

- Quando eravamo studenti - ricordò Anna - ci davamo appuntamento con i ragazzi davanti alla statua del Grande Rettore. Lo facevi anche tu?

- Certo - risposi, indicando gli studenti seduti sui gradini del monumento - credo che si usi fare così anche ora.

- Non sarebbe meglio buttarla via, quella statua? - chiese Terry - Dopotutto, dal punto di vista di chi come me ha casa a Pisa, la diga di Bocca d'Arno non è stato un grande successo...

- Ma fu colpa dei fiorentini, che costruirono una diga a Carmignano, nel punto più stretto della valle dell'Arno, anziché aiutare ad alzare la diga più a valle fino ad un'altezza sicura.

- Conosco la versione della storia secondo i pisani. Ma che disputa antiquata! Il campanilismo dei pisani e dei fiorentini che impedisce di salvare la valle dell'Arno dall'alluvione.

- Settecento anni di colonialismo fiorentino sono una questione antica, ma non superata - le spiegai - L'Italia è schiacciata dal peso della sua storia.

- Ognuno è libero di coltivare la sua storia. Però non capisco bene di cosa siete orgogliosi, voi studenti dell'Università di Pisa/Calci. La vostra università non è soprattutto la testimonianza di un disastro?

- Vieni - le dissi - c'è un altro monumento che devi vedere.

Sotto le arcate che conducono al secondo cortile c'è una grande lastra marmorea, portata con grande fatica in barca da una delle cave della zona cara alla Giusti, sopra a Pietrasanta.

- Vedi, su quella pietra è scolpito il testo integrale del Decreto dell'Evacuazione. Gli studenti di Pisa/Calci di solito lo imparano a memoria appena arrivano all'Università.

- E perché lo hanno scolpito sulla pietra? I decreti di solito non stanno scritti sulla carta? - Terry non capiva.

- Veramente sono più di venti anni che non si usa più la copia sulla carta come testo ufficiale, neppure per una legge: la copia ufficiale è quella digitale. A maggior ragione puoi capire che si è scolpito quel decreto sulla pietra per dare un segno importante.

- Ma perché era importante? Non diceva semplicemente di scappare, perché la diga stava cedendo?

- Vedi - Anna cercava di spiegare il modo di pensare tipico degli studenti di Calci - in quegli anni l'umanità subiva una catastrofe, di cui non si poteva dare la colpa alla natura, ma solo all'inquinamento.

- Pisa non era certo la sola città ad essere poco sopra il livello del mare: - continuai io - Londra, Copenhagen e Venezia stavano sparendo. Eppure i coraggiosi pisani, sotto la guida dell'Università, tentarono di resistere. Per anni lavorarono alla diga, facendola crescere metro per metro, mentre le acque salivano.

- E poi persero, a Pisa come a Vancouver; ogni paese ha la sua epopea dei costruttori di dighe - obiettò Terry.

- Persero, in effetti alcuni sapevano da tempo che la partita era persa, come ho saputo a Pisa da uno che c'era. Quando questo diventò chiaro a tutti, molti disperarono e fuggirono, lasciando non solo le loro case, ma anche le loro tradizioni e la loro dignità. A quel punto il Grande Rettore decise che l'Università sarebbe sopravvissuta. Leggi cosa dice:

...l'attività didattica e di ricerca dell'Università di Pisa riprenderà, entro un mese, nella nuova sede.

- E fu così? - ora Terry era veramente incuriosita.

- Fu così. Vedi, i grandi governanti non si riconoscono nell'attività di routine, in cui i loro meriti sono sempre discutibili, ma quando sono chiamati dalla storia a guidare la gente attraverso una grande prova. Per questo nel cortile principale c'è sempre la statua con il modello della diga.

- Non sarebbe meglio lasciare la statua e togliere il modello della diga?

- No, non sarebbe la verità. Chi comandava allora credeva che la diga avrebbe retto, ed ebbe torto; per colpa loro l'alluvione fu più catastrofica perché l'onda venne da più in alto. Perciò bisogna lasciare anche il modello della diga, come monito per il futuro. Anche governanti di buona volontà possono causare disastri; ma forse alcuni di loro possono avere la stoffa per guidare la rinascita.

Terry rimase a lungo a leggere il decreto scolpito su pietra, e noi la lasciammo lì per andare a vedere la vetrina 37. Ci aveva preceduti una telefonata della Giusti, la cui reputazione era sufficiente a convincere il direttore del Museo ad assegnarci una guida molto qualificata, la dottoressa Paolicchi del Laboratorio di Genetica. Era una giovane ricercatrice, solo di qualche anno più vecchia di me.

- Questa è una vetrina che viene spesso illustrata agli studenti, specialmente a quelli di Biologia e Medicina - ci spiegò la Paolicchi - perché racconta di un esperimento molto importante, a cui per di più lavorarono anche ricercatori dell'Università di Pisa negli anni '10. L'esperimento sfrutta le proprietà ``naturali'', ma come vedrete il problema sta proprio in questa parola, dei cromosomi dell'Arvicola del Savi.

- L'esperimento studiava un fenomeno naturale di speciazione?

- Il punto è proprio questo: che cosa c'è veramente di naturale in un ambiente dominato completamente dall'uomo?

- Ci sono cromosomi a V e ad X? - chiesi un po' ingenuamente.

- No, qui stiamo parlando di cromosomi a forma più o meno di Y; quelli che ci interessano sono proprio i cromosomi sessuali. Per effetto di una mutazione verificatasi non sappiamo quando, ci sono due gruppi di arvicole con questo cromosoma che ha una forma completamente diversa. Ecco, se interrogate la vetrina 37 in questo modo - le sue dita corsero sui menù che apparivano sulla superficie della vetrina - potete vedere il meccanismo di trasposizione di un grosso segmento del cromosoma...

In effetti il display multimediale spiegava il meccanismo della mutazione in modo abbastanza comprensibile perfino per me, con i miei recentissimi e frettolosi studi di genetica.

- Mi scusi, dottoressa...

- Ma ti pare, diamoci del tu... del resto, non eravamo studenti assieme?

- Credo proprio di sì, solo io ero due anni indietro. Dunque, per favore spiegami questo: i due gruppi di arvicole con i cromosomi di forma diversa erano due diverse specie?

- È un poco più complicato; devi tenere conto della meiosi...

Io cominciavo a rendermi conto che aveva ragione la Giusti (che aveva sempre ragione) quando diceva che non dovevo avventurarmi in acque straniere. Infatti ci volle una buona mezz'ora per farmi capire il procedimento di speciazione, che richiedeva non solo una singola mutazione ma una complicata sequenza di mutazioni e di incroci. Alla fine comunque il risultato era la formazione di due gruppi che non potevano incrociarsi, o meglio potevano avere figli ma questi erano sterili.

- Va bene, forse ho capito, ma questo processo quanto tempo richiede?

- Questo era il punto dell'esperimento che la vetrina ora vi illustrerà. Lo scopo era determinare se la pressione ambientale può essere la causa di una speciazione.

- Come sarebbe a dire pressione ambientale? Le mutazioni non sono casuali?

- Sì, ma la loro probabilità dipende dalla presenza di fattori mutageni.

- Che sarebbero?

- Qualcosa nell'ambiente che fa aumentare la quantità di mutazioni, tipicamente ostacolando la replicazione del DNA. Possono essere delle sostanze chimiche, possono essere radiazioni ionizzanti. Le radiazioni nucleari sono l'esempio più noto. Hai presente il quartiere dei mutanti di Islamabad? In quel caso, naturalmente, le radiazioni dal fallout sono la ragione principale.

A questa citazione di uno di quei fatti ben noti, ma a cui nessuno ama pensare, Anna diventò pallida, e anche io provai un certo imbarazzo. Noi tutti partecipiamo agli eventi benefici a favore degli Angeli della Nube a Fungo, ma solo allo scopo di mandare pochi santi laggiù ed essere autorizzati a non pensarci.

- Va bene, ma le dosi massicce di radiazioni sono, per fortuna, rare.

- Invece i mutageni contenuti nei prodotti dell'industria chimica non sono rari affatto. Molti sono stati eliminati dalla produzione, perché le proprietà mutagene sono state scoperte da tempo, come la famigerata diossina.

- Ho capito, ma che c'entra con i topolini di campagna?

- Un gruppo di Arvicole del Savi fu sottoposto ad una massiccia dose di sostanze chimiche mutagene.

- Un esperimento crudele - Anna era sempre dalla parte degli animali.

- Ma ne valse la pena. Per effetto di questa accelerazione artificiale del ritmo delle mutazioni, si verificò il primo esempio di speciazione indotta sperimentalmente.

- Vuoi dire che si è ripetuta la sequenza di eventi che porta alla separazione in due specie? E in quanto tempo?

- Poche generazioni di arvicole, in pratica pochi mesi.

Anna sembrava perplessa:

- Non vedo cosa c'entra con i dinosauri.

Io invece lo vedevo benissimo:

- Se i dinosauri avevano una civiltà industriale, potevano avere altrettanto inquinamento di quello che abbiamo noi; anzi di più, perché a quel tempo non c'erano calotte polari da sciogliere, quindi non ebbero l'avvertimento che abbiamo avuto noi.

- State dicendo che tra i dinosauri ci sono state delle speciazioni catastrofiche? - la Paolicchi sembrava choccata da questa rivelazione - E in quale specie?

- Direi proprio di sì: tra i Waukarlysaurus. E se l'analogia con le arvicole è valida, questo potrebbe essersi verificato nel giro di poche generazioni, e durante l'era industriale di quella specie.

Restammo fino al primo pomeriggio; dopo aver saputo tutto quello che ci serviva sulle arvicole ringraziammo la Paolicchi e andammo a ritrovare Terry per avviarci verso casa.

Terry stava nel negozio interno, ad acquistare dei souvenir; aveva comperato una riproduzione della lapide con il Decreto dell'Evacuazione. Io comperai una copia in plastica dell'Arvicola del Savi.

- Avevi ragione di dire che la fine del lavoro è un momento triste - disse Anna - e per di più questa è una conclusione triste, se è vero che i dinosauri si sono massacrati tra loro come conseguenza di un evento così strano.

- Io direi che se lo sono meritato; prima hanno inquinato, magari anche con le armi nucleari, fino a provocare un disastro genetico, e poi si sono sterminati a vicenda perché non sapevano accettare le conseguenze di quello che avevano fatto.

- Ma tu sei sicuro che noi siamo meglio? - il caso volle che mentre Anna diceva questo noi stavamo passando davanti al modello della diga.



Subsections
Andrea Milani 2011-10-11